La risposta delle Ong alle punture di Vespa.

Da Emergency a Hope , a Medici senza frontiere, sono numerose le Organizzazioni umanitarie accorse in Lombardia per affiancare il personale sanitario in prima linea contro la pandemia. Nemmeno questo ha fermato lo sciacallaggio e le falsità delle destre nei loro confronti

Giulio Cavalli
Left del 04 Aprile 2020

Innanzitutto c’è la domanda. È una di quelle domande che vengono poste mica per avere una risposta, sarebbe troppo facile così, ma viene posta per essere pubblica e inoculare il dubbio cattivo nelle teste di chi in questi giorni ha bisogno di un colpevole per sentirsi meglio. E allora eccola: dove sono le Ong? Anzi, per renderla ancora più performante ci si chiede che fine abbiano fatto quelle Ong che “si mostravano” quando c’era da salvare gli immigrati. E quel verbo lì, messo così, quel “mostrare” è già di per sé di una scorrettezza che fa schifo visto che le Ong sono diventate una questione oscenamente pubblica a causa del tiro continuo a palle incatenate che hanno dovuto subire dal governo che c’era prima e dall’ex ministro di quel governo che oggi guida maldestramente l’opposizione. Cannibalizzare pubblicamente qualcuno e poi accusarlo di essere in cerca di pubblicità è un maldestro tentativo di bullizzazione: il fatto è che qui, ora, da noi, bullizzare le Ong funziona e funzionerà ancora per parecchio tempo perché fare del bene disinteressatamente è il modo migliore per mandare in tilt i sovranisti di casa nostra (e mica solo quelli) e dimostrare che esistono persone che fanno della solidarietà un impegno totale. Ma alla gravita della domanda posta per creare scompiglio (tra l’altro in tempo di quarantena e di virus, quando tutti sono inevitabilmente molto più suscettibili) si aggiunge anche il fatto che quel dubbio venga lanciato da un giornalista, uno dei volti più conosciuti della rete più importante della televisione di Stato, quel Bruno Vespa che troppo spesso è stato la camera non ufficiale di un Parlamento abituato a parlare troppo con i giornalisti (da cui riceve sempre troppe poche domande). Bruno Vespa una mattina si alza e in un video privato, girato tranquillamente a casa sua, decide di additare le Ong come menefreghiste in una situazione di emergenza come questa. Immaginate il bum. E immaginate se non poteva accadere che ovviamente i maestri dello sciacallaggio che stanno a capo dei partiti di destra cavalcassero quel messaggio per gridare allo scandalo. E così lo scandalo è avvenuto: non fanno niente per noi, si è detto in giro (in giro no, per ovvi motivi, tra le mura di casa e sul filo della rete) ed ecco che in un secondo Medici senza frontiere, Emergency e tutti gli altri ritornano sulla graticola anche se ormai di Mediterraneo non parla più nessuno, vengono nominati quanto basta per fare riaffiorare antiche antipatie e in molti si sentono rassicurati di odiare sempre gli stessi anche in tempi di quarantena. Eppure le Ong (pronunciate sempre con una certa durezza perché così fa più effetto il disprezzo) sono sul campo come lo sono sempre state. Medici senza frontiere, ad esempio, proprio per rispondere a Bruno Vespa, sono impegnati negli ospedali di Lodi, Codogno, Casalpusterlengo e Sant’Angelo Lodigiano, li dove è partito il primo focolaio del Covid-19 e grazie alla loro presenza sono stati riattivati circa una ventina di posti letto che erano a disposizione ma inutilizzati per mancanza di personale. Medici senza frontiere ha messo a disposizione anestesisti, infermieri, logisti e infettivologi che affiancano il personale già esistente. Claudia Lodesani, responsabile del progetto per Msf, non entra nel merito della polemica, ma chiarisce: «Dove c’è bisogno interveniamo. Non sostituiamo le risorse presenti ma arriviamo in supporto». Forse è proprio per questo che Bruno Vespa e compagnia cantante non se ne sono accorti: Medici senza frontiere sono mischiati ai tanti operatori che sono in prima linea per fronteggiare il virus e forse non avevano nemmeno interesse che si parlasse di loro. Anzi, se qualcuno ha una curiosità morbosa può sfamarsi con la tragedia accaduta a Gino Fasoli, 73 anni, medico proprio per Emergency e per Medici senza frontiere che è tornato in corsia per rispondere al proprio senso del dovere e in corsia, come sta accadendo a molti medici e operatori sanitari, ha perso la vita a causa del Covid-19. Poi c’è Emergency, particolarmente odiata da certa destra italiana per la schiettezza del suo fondatore Gino Strada che giusto in questi giorni sta ricordando, perché è doveroso ricordarlo, la lenta e chirurgica dismissione della sanità pubblica in tutti questi anni. Il comunicato stampa dell’associazione parla chiaro: «In risposta all’appello fatto dal Comune nell’ambito della piattaforma Milano Aiuta, abbiamo attivato un servizio per le richieste di trasporto di beni (alimentari, farmaci o altri beni di prima necessità) per gli over 65, coloro a cui è stata ordinata la quarantena e le persone fragili a rischio movimento». Oltre a questo l’Ong ha messo a disposizione le proprie competenze mediche acquisite in Sierra Leone in occasione dell’epidemia di eboia del 2014/2015, mentre il personale medico sta monitorando la situazione sanitaria dei senza fissa dimora e si sta occupando di tradurre i decreti nelle diverse lingue perché siano accessibili a tutte le comunità. In Lombardia c’è anche Hope Onlus, che si occupa principalmente di bambini e di Medio Oriente e che tramite il suo portavoce Davide Bullo ha raccontato di avere messo a disposizione 7 posti letto di rianimazione, 11 ecografie portatili e 24 ventilatori portatili. A Cremona opera l’Ong statunitense Samaritani Purse che ha costruito un piccolo ospedale da campo con medicinali e respiratori: sono in tutto 16 tende con 60 posti letto e 8 posti di rianimazione. I lavori di costruzione sono stati affiancati dalla Protezione civile e dagli uomini del decimo Reggimento del Genio guastatori di Cremona. E questi sono solo alcuni esempi dell’enorme movimento solidale che si sta sviluppando in tutto il Paese coinvolgendo associazioni grandi e piccole che lavorano incessantemente senza nemmeno avere il tempo di entrare nelle sterili polemiche giornalistiche e politiche di chi (come ha scritto lo stesso Vittorio Feltri in un suo editoriale) si preoccupa di «cavalcare la paura».