“Portiamo nel mondo le macchine salvavita”

Elena Fazzini e Paolo Taccone, una ex manager e un medico, con la loro onlus hano aiutato molti ospedali durante la pandemia

Giusi Galimberti
Famiglia Cristiana del 25 Dicembre 2020

“C’era un grande andirivieni di ambulanze quel 15 febbraio 2020 nel cortile dell’ospedale policlinico di Milano. I nostri sguardi si sono incrociati per la prima volta sopra la mascherina in un velocissimo incontro” racconta Elena Fazzini, cinquant’anni, fondatrice e general manager di Hope Onlus, organizzazione non profit milanese che si dedica a progetti umanitari per la salute e l’educazione.

Non c’era tempo di parlare, bisognava agire. Era l’inizio della pandemia, al centro della regione più colpita. E gli altri occhi, attenti e in quel momento disperati, erano quelli di Paolo Taccone, 46 anni, dirigente medico rianimatore della terapia intensiva di quella struttura, “in trincea” fin dall’inizio della battaglia contro il virus.

Un incontro fortunato e unico che ha cambiato la vita di centinaia di persone: i pazienti salvati dalle apparecchiature che Elena e Paolo con Hope Onlus  hanno cercato da quel momento di reperire in giro per il mondo, dalla Germania fino al Giappone, per importarli in Italia tempo record e donarli agli ospedali impegnati nella lotta al Covid-19: “la prima ondata ci ha investito come uno tsunami”, spiega Taccone, “come medico mi occupo dei macchinari, ed eravamo alla frenetica ricerca di ventilatori. Ogni struttura cercava di accaparrarsi ciò che trovava, c’era chi ha persino recuperato respiratori veterinari. Così abbiamo chiamato Elena, che per anni si è occupata di procurare macchine ospedaliere per i paesi in via di sviluppo. Ora quelli nel bisogno eravamo noi italiani “.

E qui arriva la storia di Elena, iniziata proprio con un ecografo che, nelle mani di un medico di eccellenza del San Gerardo di Monza, lei ha salvato la vita. “Un ecografo mi aveva salvato e uno volevo donarlo a un ospedale che ne avesse bisogno”, spiega lei “mi sono informata e nel 2006 sono partita con mio marito per Nazareth. Lì c’è ‘Holy Family Italian Hospital, dove operano anche delle suore bergamasche. Un luogo dove lavorano nell’armonia medici e sanitari delle tre religioni monoteiste: cattolici, ebrei e musulmani. C’era un’ottima maternità ma mancava il reparto di neonatologia e terapia intensiva per i bambini nati con complicazioni. Serviva un progetto, e con i primi donatori ho fondato Hope Onlus, che è intervenuta per rispondere a questa urgente necessità e trasformarla in realtà: il reparto è stata realizzata in 18 mesi”. Elena è così: dopo un’esperienza alle Nazioni Unite e da manager del Gruppo Generali sa che la tempestività e tutto. Un modo di agire che grazie alla collaborazione del Dottor Taccone, supervisore della qualità di ogni acquisto e donazione delle apparecchiature mediche (oltre 170), non è passato inosservato.

Così un giorno arrivata una telefonata speciale dal Vaticano: “era monsignor Konrad Krajewski, l’elemosiniere del Papa, in vivavoce sullo sfondo Papa Francesco” dice emozionata Elena. “Il pontefice chiedeva un nostro intervento in Brasile, dove la pandemia cresceva in modo inarrestabile, secondo paese per numero di contagi e morti. Una grande missione ancora in nato seguita in prima persona soprattutto da Paolo, che durante l’estate ho visitato decine di ospedali cattolici anche nel cuore dell’Amazzonia, consegnando ventilatori ed ecografie. La sanità brasiliana è di alto livello ma privata conclude il medico chi è denaro può curarsi per gli altri per fortuna ci sono i missionari con loro ospedali che stiamo cercando di aiutare concretamente insegnando anche usare ventilatori