Una Virtù Marziale

Il rapporto Censis 2019 ha evidenziato come il rancore sia uno dei nuovi mali del nostro Paese e la stessa pandemia non fa che sottolineare la diffusione di aggressività. E tuttavia un rimedio pare esserci, di più una virtù da praticare: la gentilezza

Marilena Roncarà
CLUB MILANO del 01 Novembre 2020

La scorsa primavera abbiamo capito chiaramente che no, non siamo invulnerabili. Adesso, ad autunno inoltrato, è sotto gli occhi di tutti che con la pandemia di coronavirus non siamo nemmeno diventati migliori, come magari avevamo vagheggiato durante il primo lockdown di marzo. È bastata un’estate di mezzo con la morsa dell’infezione che sembrava allentarsi, per farci dimenticare della sveglia che era suonata. Anzi in tanti casi siamo anche diventati più violenti e aggressivi come diversi fatti di cronaca testimoniano: dalla tragica vicenda di Willy Monteiro Duarte, il ventunenne ucciso lo scorso settembre a Colleferro, vicino a Roma, nel corso di una rissa per aver difeso un amico durante una lite, alle manifestazioni contro le misure di sicurezza anti Covid, in alcuni casi degenerate in episodi di guerriglia urbana con danni a quegli stessi negozi che si volevano tutelare. Per non parlare degli urlatori dei media o del web dove sembra sempre vincere chi zittisce gli altri.

Non si tratta, beninteso, di fenomeni nuovi, ma ora è più urgente che mai ritrovare consapevolezza. Non a caso il rapporto Censis del 2019 mette al centro dello scenario nazionale proprio il rancore quale conseguenza del lutto non elaborato del benessere che svanisce. Come se molti italiani ritenendo di avere il diritto al rancore, non facessero altro che cercare un nemico su cui scaricarlo. Sempre lo stesso rapporto parla anche della sindrome da stress post-traumatico che porta il 75% dei cittadini a non fidarsi più degli altri. Sono dati del 2019 che però già tracciavano la strada che stiamo vivendo ben prima che la pandemia ci cogliesse di sorpresa. Sembra proprio la descrizione di quel mondo malato di egoismo, prigioniero dell’individualismo e dominato dall’idea folle che ci si può salvare da soli, di cui parla papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti. Ma è sempre qui che viene, però, introdotto anche il concetto di gentilezza come <<una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto ad essere felici>>. È sempre la gentilezza a venire in nostro soccorso secondo la scienziata Immaculata De Vivo, coautrice del libro Biologia della gentilezza (Mondadori, giugno 2020), anche per rimediare ai danni subiti dal DNA in conseguenza di violenze fisiche e mentali. A farne un vero e proprio elogio è stato ancora prima, nel 2013, lo scrittore George Saunders in occasione del discorso, poi trascritto in un libro, tenuto di fronte ai laureandi della Syracuse University. <<C’è un equivoco in ciascuno di noi, anzi una malattia: l’egoismo. Ma esiste anche una cura. […] Cercate le medicine anti egoismo più efficaci, cercatele con energia, finché vivrete. Scoprite cosa vi rende più gentili, cosa vi libera e fa emergere la versione più affettuosa, generosa e impavida di voi stessi – e cercatelo come se non ci fosse niente di più importante. Perché in effetti non c’è niente di più importante>> augura Saunders agli studenti freschi di laurea. Ma che cos’è davvero la gentilezza? Secondo Gianrico Carofiglio che pure le dedica un libro uscito lo scorso settembre per Feltrinelli (Della gentilezza e del coraggio), si tratta di una virtù marziale. Ben lontana dalla mitezza che rifugge il conflitto, essa è invece la premessa per una rielaborazione costruttiva del dissenso e per la ricerca di possibili soluzioni condivise. Per praticarla bisogna esercitare una sorta di “ascolto attivo” che ha a che fare con la capacità di mettere in disparte l’ego, per cui quello che si sente viene elaborato, ma non giudicato. Non è certo facile praticare questa gentilezza e non a caso si parla di virtù marziale, ovvero di una tecnica da imparare e affinare di continuo proprio perché è uno strumento chiave per produrre senso nelle azioni umane. Contribuisce in modo diverso a dare senso e a promuovere valori come la solidarietà e la cittadinanza attiva pure la mostra itinerante #Covid-19@storiedisperanza che raccoglie 40 scatti di medici, infermieri e volontari impegnati nella prima fase dell’emergenza sanitaria. Organizzata dall’associazione Hope Onlus la mostra, di cui in queste pagine si vedono alcuni scatti, è visitabile misure anti Covid permettendo in corso Vittorio Emanuele a Milano fino al 10 gennaio, mentre dopo si sposterà a Bergamo, Brescia, Londra, Parigi e San Paolo. Le immagini raccontano di quell’umanità che anche nel dramma riesce a fare la differenza per sé e per gli altri. Come accade quando si pratica la gentilezza.