Hope scommette su competenze specifiche e gratuite.

Profit e no profit, nuovi modelli.

di Giovanna Faggionato
Il Sole 24 Ore del 05 Luglio 2010

Un nuovo modello di organizzazione per il no profit, fondato su flessibilità e competenze altamente specializzate, caratterizza Hope Onlus. Fondata nel 2006, l’associazione, che realizza progetti nel campo della salute e dell’educazione interculturale in Medio Oriente è riuscita a costruire in 18 mesi il nuovo reparto di neonatologia e terapia intensiva dell’Holy Family Hospital di Nazareth, e per il 2010 punta a trasformarsi in fondazione.

Il successo si deve al modello operativo. L’idea è venuta alla presidente Elena Fazzini, ex funzionario delle Nazioni Unite in Libano, che durante un viaggio in Israele ha visitato l’ospedale italiano di Nazareth, dove operano insieme cristiani, ebrei, musulmani e drusi.

Mancava un reparto di neonatologia, quello più vicino era a 50 chilometri. «Così abbiamo deciso di coinvolgere i nostri conoscenti che avessero delle competenze specifiche – racconta la presidente di Hope -. Abbiamo contattato gli ospedali e abbiamo trovato la disponibilità del San Gerardo di Monza: un team scientifico di sette giovani medici ha formato una squadra di professionisti locali». E poi tecnici sanitari, architetti e ingegneri, che hanno realizzato il progetto del reparto, e giovani delle agenzie di comunicazione: in tutto, 35 professionisti hanno messo gratuitamente in campo le loro competenze.

Un’iniziativa all’avanguardia che ha trovato il sostegno finanziario – 950mila euro – della Regione Lombardia, grazie ai fondi per la cooperazione, e di Fondazione Milan. «La nostra linea operativa – spiega Elena Fazzini – è rispondere a bisogni locali molto specifici, trasferendo l’eccellenza del profit nel no profit e puntando alla sostenibilità del progetto, in modo che il contesto locale sia poi preparato a proseguire autonomamente».

Finora Hope è riuscita a coinvolgere 88 volontari di differenti settori e più di 30 imprese nel sostegno economico. Intanto le richieste di intervento si sono moltiplicate ed è arrivata la decisione di trasformarsi in fondazione: l’obiettivo è raccogliere 100mila euro di capitale sociale. Nel frattempo a Nazareth è stato attivato anche un percorso educativo di convivenza fra le tre religioni, che ha visto la collaborazione tra un team di dodici educatori italiani, che comprende docenti dell’Università Cattolica, e sei rappresentanti dell’ospedale e del ministero dell’Educazione israeliano. E in corso ci sono anche i progetti di ristrutturazione di una casa di accoglienza per ragazzi e soprattutto la costruzione di un asilo bunker, all’interno del Western Galilee Hospital, nel Nord, a tre chilometri dal confine con il Libano. Durante l’ultima guerra l’ospedale, che comprende un’area con protezioni anti-missile e anti-atomiche, è diventato il rifugio per i bambini della zona. Da una parte e dall’altra della frontiera.